ibn taymiyya
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Abstract

In un’epoca caratterizzata da tensioni politiche e sociali, Ibn Taymiyya (1263-1328) ebbe un impatto significativo nel mondo islamico, soprattutto per le sue interpretazioni rigide e contestate della dottrina islamica, in particolare della jihad. La sua concezione della jihad come difesa della comunità musulmana ha suscitato dibattiti contemporanei e l’interesse da parte di gruppi radicali.


Introduzione

Ibn Taymiyya, vissuto tra il 1263 e il 1328, è una figura di spicco nella tradizione islamica, e viene riconosciuto non solo come un teologo di grande rilevanza, ma anche come un giurista eminente della scuola Hanbalita. La sua influenza si estende ben oltre il suo tempo, grazie alle sue interpretazioni rigorose e talvolta controverse della dottrina islamica. La vasta produzione di scritti di Ibn Taymiyya copre un’ampia varietà di ambiti, toccando questioni di teologia, giurisprudenza, filosofia e storia, e ha lasciato un segno indelebile nel pensiero islamico.

Una delle tematiche più rilevanti e significative nel suo corpus di opere è la concezione della jihad, che occupa sicuramente un posto centrale, non solo per la sua importanza teologica ma anche per il modo in cui riflette i complessi contesti sociopolitici e religiosi del tempo in cui visse. Ibn Taymiyya si trovò a operare in un periodo caratterizzato da tensioni, conflitti e cambiamenti radicali nel mondo islamico, e le sue idee sulla jihad devono quindi essere comprese in questo contesto intricato.

Questo saggio si propone di analizzare in modo approfondito il pensiero di Ibn Taymiyya rispetto alla jihad. In particolare, si vuole esaminare le radici teologiche delle sue posizioni, approfondendo come queste si collochino all’interno più ampio dell’interpretazione islamica e quali siano le differenze rispetto ad altre tradizioni di pensiero, che eventualmente offrono visioni più pacifiste o moderate della jihad. Attraverso questo confronto, si intende delineare le peculiarità del suo approccio, mettendo in luce come egli abbia inteso coniugare principi religiosi con la realtà del suo tempo.

Infine, un’attenzione speciale sarà dedicata alle implicazioni contemporanee delle idee di Ibn Taymiyya. In un’epoca in cui il concetto di jihad è spesso frainteso o strumentalizzato, riesaminare i suoi scritti offre l’opportunità di riflettere sulla validità e sull’interpretazione delle sue dottrine in un contesto moderno, affrontando le sfide etiche e morali che emergono. Alla luce di tutto ciò, ci proponiamo di gettare nuova luce sul pensiero di Ibn Taymiyya, contribuendo così a una comprensione più sfumata e storicamente informata della jihad e del suo significato all’interno dell’Islam.


Contesto Storico e Teologico

Il contesto politico

Ibn Taymiyya visse in un periodo caratterizzato da un considerevole tumulto politico e sociale, un’epoca in cui il mondo islamico affrontava sfide considerevoli e complesse. Tra le principali minacce vi era l’espansione dei Mongoli, un popolo che destabilizzava le regioni islamiche con assalti ed invasioni, portando con sé distruzione e paura. A ciò si aggiunse l’influsso delle crociate europee, che rappresentavano non solo un problema militare, ma anche una sfida ideologica, in quanto ridestavano sentimenti di rivalità e conflitto tra il mondo islamico e quello cristiano.

In questa atmosfera di conflitto, Ibn Taymiyya si sentì profondamente impegnato nel promuovere una riforma spirituale e religiosa tra i musulmani. Egli riconobbe l’urgenza di un ritorno alle radici dell’Islam e di un rafforzamento dell’ortodossia, che percepiva come minacciata da una serie di influenze esterne e interne. In particolare, egli criticava le ideologie filosofiche e religiose che considerava devianti rispetto alla tradizione islamica ortodossa, sostenendo che molte di queste innovazioni (bidʿah) avevano allontanato i fedeli dal messaggio autentico del profeta Muhammad.

La sua vita fu quindi contrassegnata da un continuo zelo nel denunciare tali deviazioni, cercando di riportare i musulmani ad una comprensione più pura della fede. Ibn Taymiyya impiegò gran parte della sua energia intellettuale e spirituale per evidenziare l’importanza della Sunnah, la tradizione profetica, sottolineando che ogni pratica religiosa dovesse riflettere gli insegnamenti e il comportamento del profeta. La sua opera non solo cercava di fare luce su questioni teologiche e giuridiche, ma abbracciava anche una dimensione di risveglio spirituale, invitando i credenti a vivere in modo coerente con i principi islamici fondamentali.

Con il suo approccio critico e riformista, Ibn Taymiyya divenne una figura centrale nella storia del pensiero islamico, la cui influenza ha segnato profondamente non solo il periodo della sua vita, ma anche le generazioni successive. La sua eredità continua a essere oggetto di studio e discussione, poiché molte delle sue idee si riflettono nei dibattiti contemporanei sulle questioni religiose e spirituali nel mondo islamico.


Le radici teologiche della jihad

La jihad, etimologicamente, deriva dall’arabo “jihaduna”, che significa “fare sforzo” o “lottare”. Questo termine ha molteplici significati nel contesto dell’Islam e si può riferire a diverse forme di impegno e resistenza. In senso ampio, la jihad abbraccia l’idea di un impegno personale e comunitario che può manifestarsi attraverso la lotta interna che ciascun individuo affronta nel cercare di migliorare se stesso, superando le tentazioni e le debolezze del proprio ego. Questo aspetto della jihad, spesso descritto come “jihad maggiore”, mette l’accento sull’importanza del miglioramento morale, spirituale e etico.

Tuttavia, la jihad comprende anche una dimensione collettiva, ovvero la difesa della comunità musulmana di fronte a minacce esterne. In questo senso, la jihad si considera una responsabilità collettiva, o “fard kifayah”, che implica che, se alcuni membri della comunità rispondono all’appello per difendere la fede, l’esonero degli altri.  Questo è particolarmente rilevante in situazioni in cui la comunità musulmana è sotto attacco o minaccia.

In situazioni di aggressione diretta, la jihad assume un significato individuale, conosciuto come “fard ‘ayn”. Questo indica che è un dovere personale per ogni musulmano rispondere e difendere la propria vita, beni e fede. L’importanza di queste distinzioni è evidente nella teologia islamica, che affronta le varie dimensioni e responsabilità associate alla jihad.

Un’importante figura nel pensiero islamico, Ibn Taymiyya, ha analizzato e interpretato il concetto di jihad, riconoscendo le sue diverse manifestazioni. Tuttavia, la sua posizione si distingue per il modo in cui posiziona la jihad all’interno di un contesto specifico di difesa della fede e della comunità musulmana. Ibn Taymiyya insiste sulla necessità di una lotta armata, che deve essere legittimata da un chiaro e diretto atto di aggressione. In questo modo, egli fornisce una giustificazione teologica e giuridica per il ricorso alla violenza in risposta a minacce chiare, ponendo così un argine a interpretazioni della jihad che non rispettino i requisiti della legittimità e della giustizia. La sua lettura ha influenzato in maniera significativa le comprensioni contemporanee del concetto di jihad, rendendolo un tema di dibattito intenso e complesso all’interno ed all’esterno delle comunità musulmane.


La Giurisprudenza della Jihad

Jihad minacciata e aggressione

Ibn Taymiyya, effettivamente, attribuiva una grande importanza alla giurisprudenza della jihad, ed ha dedicato un’attenzione particolare ai principi e ai criteri che ne regolano l’attuazione. Egli sosteneva che la jihad dovesse essere giustificata unicamente in risposta a una minaccia diretta e concreta all’Islam o ai musulmani, evidenziando la necessità di una legittimazione etica e giuridica per qualsiasi azione militare condotta in nome di questa causa considerata sacra.

Questa sua visione non si limitava alla mera difesa; al contrario, Ibn Taymiyya precisava che la jihad avrebbe dovuto essere considerata come un’azione specifica e circoscritta, orientata principalmente alla protezione della comunità musulmana e delle sue credenze. In questo modo, egli si distaccava nettamente dalle interpretazioni più espansive e imperialistiche della jihad che avevano caratterizzato le epoche precedenti, le quali tendevano a giustificare campagne militari anche in contesti di conquista e dominazione territoriale.

La distinzione che Ibn Taymiyya introduceva era fondamentale: egli fissava dei limiti chiari, sottolineando che la guerra in nome della jihad non poteva essere intrapresa per motivazioni di conquista o di espansione di potere, ma esclusivamente per affrontare attacchi diretti o ingiustizie subite dalla comunità musulmana. Questo approccio rifletteva un profondo senso di responsabilità etica e giuridica, enfatizzando la necessità di una guida precisa e di un consenso legittimo tra gli studiosi e i leader musulmani affinché fosse intrapresa qualsiasi azione.

Il contributo di Ibn Taymiyya, quindi, rappresenta un’importante riflessione sui principi della guerra giusta nell’Islam, invitando a una revisione critica delle modalità attraverso cui gli aspetti militanti della religione potessero essere interpretati e attuati. La sua eredità continua ad influenzare le discussioni contemporanee sulla jihad e sulla giurisprudenza islamica, richiamando l’attenzione sul delicato equilibrio tra la difesa dei diritti dei musulmani e il rispetto delle norme etiche e giuridiche.


Tipologie e condizioni della jihad

Ibn Taymiyya, inoltre,  sviluppò una distinzione chiara e significativa tra due forme di jihad: la jihad offensiva e la jihad difensiva. Secondo il suo pensiero, la jihad difensiva rappresenta un obbligo morale e religioso per la comunità islamica nel momento in cui essa viene attaccata o minacciata da forze esterne. Questo tipo di jihad è considerato indispensabile per la protezione della fede, della comunità e dei territori musulmani, in quanto si pone come una risposta necessaria a un’aggressione.

D’altra parte, la jihad offensiva presenta caratteristiche diverse. Ibn Taymiyya sottolinea che tale forma di jihad non può essere intrapresa liberamente da individui o gruppi privati, ma deve essere condotta sotto la guida e l’autorità di un governo legittimo. Questa necessità di una leadership riconosciuta è fondamentale, poiché garantisce che le operazioni militari siano giustificate e ben pianificate, evitando così interpretazioni personali o azioni autonome che potrebbero compromettere la comunità o travisare le finalità della jihad stessa.

In sintesi, la riflessione di Ibn Taymiyya sull’argomento della jihad sottolinea l’importanza del contesto e dell’autorità quando si tratta di dichiarare guerra o difendersi, evidenziando come le azioni individuali non debbano mai superare la necessità di un’adeguata legittimazione e di una guida collettiva in situazioni di conflitto. Questo approccio mira a mantenere l’integrità della comunità islamica e a salvaguardare i suoi valori fondamentali anche in tempi di crisi.


La necessità dell’intento corretto

Un’altra pietra miliare della sua concezione della jihad era l’importanza dell’intenzionalità. Egli sottolineava che la jihad doveva essere intrapresa con l’intento di ricercare la giustizia e la verità, piuttosto che per motivi personali o ambizioni territoriali. Questa visione si trasformava in un principio fondamentale: l’integrità dell’intento era cruciale, poiché solo una jihad guidata da nobili scopi poteva essere considerata valida.

La sua posizione chiariva che una vera jihad non doveva essere confusa con atti di violenza gratuiti o con la ricerca di potere per soddisfare interessi egoistici. Infatti, una jihad condotta a scopi egoistici o devianti sarebbe risultata in un peccato, piuttosto che in un dovere religioso. Per lui, l’essenza della jihad era intrinsecamente legata alla lotta per il bene e alla difesa dei diritti umani, incapsulata dall’idea che ogni azione dovesse essere motivata dalla volontà di contribuire al benessere della comunità e alla promozione della giustizia.

In questa prospettiva, la jihad assumeva un significato profondo e spirituale, diventando non solo un impegno esterno, ma anche un percorso interiore di crescita personale e di purificazione. La vera sfida, secondo le sue convinzioni, risiedeva nel mantenere la purezza dell’intenzionalità, affinché ogni azione intrapresa in nome della jihad fosse in linea con i principi morali e etici insegnati dalla fede. Di conseguenza, la sua interpretazione della jihad si distaccava nettamente da qualsiasi forma di radicalismo o di violenza insensata, richiamando i fedeli a riflettere sulle profonde responsabilità che accompagnano un tale impegno.


Convergenze e Divergenze con Altre Tradizioni Islamiche

Il confronto con il pensiero sunnita tradizionale

Sebbene Ibn Taymiyya fosse profondamente radicato nella tradizione sunnita, le sue posizioni sulla jihad si distinguevo nettamente da quelle di molti altri giuristi islamici, in particolare rispetto ad alcune delle scuole giuridiche più liberali come quella malikita e quella shafi’ita. Mentre diversi giuristi appartenenti a queste scuole tendevano a enfatizzare il concetto di jihad come un mezzo di espansione territoriale e conversione dei non musulmani, Ibn Taymiyya rifiutò decisamente questa interpretazione.

La sua visione della jihad era decisamente più focalizzata sull’idea di mera difesa della comunità musulmana. Taymiyya sosteneva che il vero significato della jihad dovesse essere compreso come un atto di protezione dei credenti e della loro fede, piuttosto che come un imperativo per l’espansione e la conquista. Questa concezione differente rifletteva non solo una risposta alle circostanze politiche e sociali del suo tempo, ma anche una profonda preoccupazione per l’integrità spirituale e morale della comunità islamica.

In un contesto in cui la jihad era talvolta utilizzata per giustificare aggressioni e conflitti, Taymiyya richiamava costantemente i valori fondamentali dell’Islam, sottolineando l’importanza della giustizia, della misericordia e della difesa dei più deboli. La sua posizione rappresentava quindi un tentativo di riportare il concetto di jihad a una dimensione più etica e spirituale, mantenendo così un legame con le sorgenti testuali e le tradizioni autentiche del pensiero islamico.

In definitiva, la visione di Ibn Taymiyya sulla jihad non  rifletteva solamente la sua interpretazione personale, ma influenzò anche il pensiero successivo, generando dibattiti e discussioni che continuano ad essere rilevanti nel mondo musulmano contemporaneo.

Riflessioni su giuristi sciiti e sufi

Inoltre, la concezione della jihad elaborata da Ibn Taymiyya si mostrava notevolmente differente rispetto alle interpretazioni presenti nel mondo sciita. Infatti, le tradizioni sciite tendono spesso a mettere un forte accento sul concetto di martirio, sottolineando la lotta per la giustizia come un valore fondamentale che può portare inevitabilmente alla morte per la causa. Questo approccio viene frequentemente celebrato attraverso la narrazione di eventi storici emblematici in cui il sacrificio personale è visto come il culmine dell’impegno religioso e della resistenza contro l’oppressione.

Tuttavia, Ibn Taymiyya non condivideva quest’enfasi sul martirio e, pur riconoscendo l’importanza della lotta, la sua visione della jihad si centrava su un altro aspetto cruciale: quello della protezione e della preservazione dell’integrità della ummah, la comunità musulmana. Taymiyya sosteneva che la jihad dovesse essere orientata principalmente verso la difesa dei valori comuni, della fede e della coesione sociale della comunità islamica. Per lui, la vera jihad non era solo un atto di ribellione o di sacrificio individuale, ma piuttosto un impegno collettivo per garantire la sicurezza e il benessere di tutti i membri della ummah. In questo senso, la sua interpretazione di jihad si caratterizzava per un approccio pragmatico e comunitario, nel quale la lotta era considerata una risposta essenziale alle minacce esterne e interne, piuttosto che un’opportunità per glorificare l’atto di sacrificio in sé.


Influenza su gruppi radicali

Negli ultimi decenni, una lettura distorta delle opere di Ibn Taymiyya ha spesso servito come fonte di ispirazione per gruppi jihadisti contemporanei. Questi gruppi hanno estrapolato e reinterpretato la sua concezione di jihad difensiva, utilizzandola come giustificazione per compiere atti di violenza mirati contro civili innocenti e contro Stati che considerano nemici, come nel caso di Hamas. Questa appropriazione indebita ha generato un ampio e acceso dibattito a livello accademico e sociale riguardo alla legittimità delle azioni compiute da tali gruppi radicali.

Inoltre, la controversia ha sollevato interrogativi fondamentali sull’interpretazione corretta del pensiero di Ibn Taymiyya, un pensatore che, nel suo contesto storico, intendeva affrontare questioni religiose e politiche del suo tempo. Mentre i jihadisti contemporanei rivendicano la sua autorità per avallare le loro violenze, gli studiosi hanno cercato di chiarire come i suoi testi non incoraggiassero l’uso della violenza indiscriminata, ma si concentrassero su un’interpretazione morale e giuridica della jihad. Questo dibattito è quindi cruciale non solo per una comprensione più sfumata del pensiero di Ibn Taymiyya, ma anche per la lotta contro le ideologie estremiste che cercano di strumentalizzare la religione per motivi politici e militari.


Ibn Taymiyya e la Jihad nel Mondo Contemporaneo

La riscoperta della figura di Ibn Taymiyya

Negli ultimi quarant’anni, la figura di Ibn Taymiyya ha conosciuto una sorta di riabilitazione che ha affermato la sua importanza all’interno del discorso islamico contemporaneo. Questa riscoperta avviene in particolare in contesti caratterizzati da una rinnovata valorizzazione della tradizione purista (come il salafismo ‘quietista’) e da movimenti anti-coloniali, dove la sua opera torna a suscitare interesse e provoca spesso una vivace discussione. Ibn Taymiyya, vissuto nel XIII e XIV secolo, è spesso richiamato da gruppi e movimenti islamici per sostenere argomentazioni che possono apparire radicali o estremiste, ma è fondamentale riconoscere che una lettura più attenta dei suoi testi e delle sue posizioni rivela una visione complessa e sfumata della sua ideologia.

Infatti, sebbene le sue parole vengano talvolta strumentalizzate per giustificare azioni violente o approcci aggressivi, la vera essenza della sua filosofia risiede in un forte impegno per la giustizia e la protezione della comunità musulmana. Ibn Taymiyya si focalizzava sull’importanza della legalità islamica e sull’unità della ummah, evitando di promuovere l’aggressione o la violenza indiscriminata. Egli sosteneva che l’Islam dovesse fornire una guida etica e morale per i suoi seguaci, enfatizzando la necessità di una comprensione profonda dei principi islamici nella vita quotidiana, piuttosto che una mera applicazione dogmatica delle regole.

Questa dimensione della sua ideologia è particolarmente rilevante nel contesto attuale, dove le interazioni tra cultura, religione e politica sono complesse e spesso conflittuali. La sua figura rappresenta, quindi, non solo un punto di riferimento per alcuni contemporanei, ma anche un’opportunità per riappropriarsi di quei valori di giustizia sociale e solidarietà che sono fondamentali per affrontare le sfide del mondo odierno. La rielaborazione del pensiero di Ibn Taymiyya invita a riflettere su come le tradizioni religiose possano essere reinterpretate e applicate in modi che promuovano la pace, la comprensione e la cooperazione interculturale, piuttosto che divisioni e conflitti.


La jihad come risposta contemporanea

Nel contesto attuale, le diverse interpretazioni della jihad da parte di vari gruppi forniscono letture contrastanti che riflettono una complessità intrinseca all’argomento. Da una parte,  alcuni movimenti radicali, caratterizzati da una retorica militante, continuano a cavalcare l’idea di una jihad offensiva. Questi gruppi spesso utilizzano la jihad come giustificazione per azioni violente e attacchi armati, sostenendo che sia necessario combattere contro i nemici dell’Islam e promuovere un’idea di ‘sacro dovere’ che si traduce in un’impostazione di guerra santa. La loro interpretazione della jihad è quindi fortemente legata ad una logica offensiva, in cui l’uso della forza è visto come un mezzo legittimo per affermare e diffondere una visione specifica dell’Islam.

D’altra parte, si sviluppano movimenti più moderati che, richiamandosi agli insegnamenti del pensatore medievale Ibn Taymiyya, cercano invece di promuovere un’interpretazione pacifica e difensiva della jihad. Questi movimenti enfatizzano valori come la giustizia sociale, la compassione e l’inclusività, sostenendo che la vera jihad debba concentrarsi sull’autenticità dell’assenza di violenza e sull’impegno per un mondo migliore. Secondo questa visione, la jihad può essere vista come una lotta interiore per migliorare se stessi e la società, piuttosto che come una giustificazione per la guerra. Tale approccio si propone di costruire ponti e dialogo con altre comunità, promuovendo una visione dell’Islam che sia aperta ed accogliente, capace di affrontare le sfide contemporanee senza ricorrere all’estremismo.

Queste differenze di interpretazione evidenziano non solo la varietà di pensiero all’interno della comunità musulmana, ma anche il ruolo significativo che le convinzioni religiose possono avere rispetto alle dinamiche sociali e politiche del nostro tempo. La jihad, quindi, non è un concetto monolitico, ma un tema complesso che continua a suscitare dibattiti e riflessioni sia all’interno che all’esterno dell’Islam.

Riflessioni etiche sull’uso della violenza

La questione dell’uso della violenza in nome della jihad rappresenta un argomento estremamente complesso e delicato, che merita un’analisi approfondita per comprenderne le molteplici sfaccettature. La jihad, un termine che spesso viene frainteso o distorto, ha origini religiose e storiche ben più ampie di quanto il dibattito contemporaneo possa suggerire.

Le interpretazioni etiche della jihad, in particolare quelle elaborate da pensatori come Ibn Taymiyya, offrono una prospettiva capace di stimolare un dialogo profondo e costruttivo. Ibn Taymiyya, teologo e giurista medievale, ha contribuito a fornire una visione della jihad non solo come un concetto militante, ma come un dovere spirituale che comprende anche l’impegno per la giustizia, la protezione dei diritti umani e la promozione della pace. Questo approccio enfatizza l’importanza di una comprensione contestualizzata della jihad, in cui la violenza non è vista come un mezzo lecito, ma piuttosto come un’ultima risorsa da considerare solo in circostanze specifiche e giustificabili.

In questo contesto, le interpretazioni della jihad possono essere un punto di partenza per un dialogo più ampio che unisce la scienza giuridica islamica a principi di pace e giustizia sociale. Ciò implica un coinvolgimento attivo da parte delle comunità musulmane nel rivedere, reinterpretare e discutere i significati della jihad nel mondo moderno, al fine di promuovere la tolleranza, il rispetto reciproco e l’armonia sociale. Quest’analisi non solo sfida le narrazioni radicali, ma apre anche la porta a una comprensione più sfumata che riconosce la diversità delle opinioni e delle esperienze all’interno dell’Islam.

Promuovendo una narrazione che sottolinea il valore della pace e della giustizia sociale, è possibile articolare un discorso che non solo respinge l’uso della violenza in nome della jihad, ma che si impegna attivamente nella costruzione di una società più giusta e pacifica. In questo modo, il dialogo interreligioso e interculturale può prosperare, contribuendo a disinnescare conflitti e a costruire ponti tra diverse fedi e culture.


Conclusioni

La concezione della jihad di Ibn Taymiyya offre una lente attraverso cui comprendere le sfide e le opportunità del pensiero islamico alla luce dei problemi contemporanei. Questo pensatore medievale, attivo nel XIII e XIV secolo, ha delineato una visione della jihad che si estende oltre una mera rappresentazione militare o di conflitto; essa, invece, si radica profondamente in un contesto etico e spirituale, invitando alla riflessione su temi di giustizia, bene comune e responsabilità individuale all’interno della comunità musulmana.

La visione difensiva di Ibn Taymiyya rispetto alla jihad, sebbene possa apparire rigida e intrinsecamente legata a tradizioni teologiche consolidate, offre comunque vertici etici che stimolano una disamina approfondita dell’identità musulmana contemporanea e del ruolo che i musulmani hanno nella società globale. In un’epoca in cui le tensioni politiche e sociali possono spesso sfociare in conflitti, le sue idee sollecitano una rivalutazione di ciò che significa entrare in jihad, suggerendo che questo termine non debba essere ridotto a un’interpretazione esclusivamente violenta.

Tuttavia, è importante sottolineare che Ibn Taymiyya è stato spesso oggetto di misinterpretazione e strumentalizzazione da parte di varie correnti ideologiche nel corso della storia. La sua figura è stata utilizzata da movimenti estremisti che ne hanno distorto il pensiero originale, svuotandolo del significato etico e sociale che lui stesso intendeva dare. Per questo motivo, il suo lavoro continua a offrire un quadro utile non solo per recuperare una comprensione autentica della jihad, ma anche per affrontare la complessità delle relazioni inter-etniche e interculturali nel mondo attuale.

L’eredità di Ibn Taymiyya, se affrontata con un occhio critico e aperto, può fornire spunti preziosi per il dialogo interreligioso e per la costruzione di una società più giusta e coesa.a. In questo senso, la sua opera rappresenta non solo un contributo alla teologia islamica, ma anche una risorsa fondamentale per affrontare e comprendere le sfide contemporanee che i musulmani si trovano a fronteggiare nel loro quotidiano.


Letture consigliate

  • Maghribi, H., Fajar, A. S. M., & Hidayah, A. (2023). The Contextual Origin of Ibn Taymiyyah’s Thought on Jihad. Progresiva: Jurnal Pemikiran Dan Pendidikan Islam12(01), 17-34.
  • Berriah, M. (2022). Ibn Taymiyya’s Conception of Jihad: Corpus, General Aspects, and Research Perspectives. Teosofi: Jurnal Tasawuf Dan Pemikiran Islam12(1), 43-70.
  • Hidayah, A., & Maghribi, H. (2022). The Misinterpretation of Ibn Taymiyyah’s Mardin Fatwa by the Modern Jihadist. Jurnal Ilmu Aqidah dan Studi Keagamaan10(2).
  • Pratama, Y. (2023). The Maqashidiyya Dimension of Ibn Taymiyyah’s Thoughts on Jihad. Sophist: Jurnal Sosial Politik Kajian Islam dan Tafsir5(2).
  • Jansen, J. J. (1987). Ibn Taymiyyah and the thirteenth century: A formative period of modern Muslim radicalism. Quaderni di Studi Arabi5, 391-396.

Di Salvatore Puleio

Salvatore Puleio è analista e ricercatore nell'area 'Terrorismo Nazionale e Internazionale' presso il Centro Studi Criminalità e Giustizia ETS di Padova, un think tank italiano dedicato agli studi sulla criminalità, la sicurezza e la ricerca storica. Per la rubrica Mosaico Internazionale, nel Giornale dell’Umbria (giornale regionale online) e Porta Portese (giornale regionale online) ha scritto 'Modernità ed Islam in Indonesia – Un rapporto Conflittuale' e 'Il Salafismo e la ricerca della ‘Purezza’ – Un Separatismo Latente'. Collabora anche con ‘Fatti per la Storia’, una rivista storica informale online; tra le pubblicazioni, 'La sacra Rota Romana, il tribunale più celebre della storia' e 'Bernardo da Chiaravalle: monaco, maestro e costruttore di civiltà'. Nel 2024 ha creato e gestisce la rivista storica informale online, ‘Islam e Dintorni’, dedicata alla storia dell'Islam e ai temi correlati. (i.e. storia dell'Indonesia, terrorismo, ecc.)

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