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In Indonesia sono presenti alcuni predicatori cristiani che hanno una particolare visibilità, e che a volte vengono percepiti come ‘blasfemi’ dalla maggioranza sunnita; la libertà religiosa e lo stesso pluralismo, sanciti dalla Costituzione e dalla Pancasila, sono dunque costantemente limitate per ragioni politiche piuttosto che per motivazioni religiose.


In Indonesia, there are some Christian preachers who have a particular visibility and are sometimes perceived as ‘blasphemous’ by the Sunni majority; Religious freedom and pluralism itself, as enshrined in the Constitution and Pancasila, are thus constantly limited for political reasons rather than religious ones.


Introduzione

Nel complesso mosaico religioso dell’Indonesia, la predicazione cristiana contemporanea rappresenta un fenomeno che unisce la dimensione spirituale e quella mediatica, l’intimità della fede e la spettacolarità della comunicazione moderna. In un Paese che conta oltre 285 milioni di abitanti, di cui quasi l’87% musulmani sunniti, la convivenza interreligiosa non è solo un principio costituzionale sancito dalla Pancasila, ma una sfida quotidiana che attraversa le piazze, le televisioni e soprattutto i social media. In questo scenario, figure come Gilbert Lumoindong e Daud Tony sono diventate icone carismatiche e polarizzanti, simboli di un cristianesimo urbano e assertivo che osa esporsi in un contesto in cui la sensibilità islamica diventa spesso normativa a livello sociale.

Dagli anni Novanta, il cristianesimo indonesiano ha vissuto una profonda metamorfosi, e le comunità pentecostali e carismatiche, un tempo relegate alle province cristiane dell’arcipelago, si sono trasferite nelle grandi città, dove interagiscono con la modernità. Il pulpito si è trasformato in palco, la liturgia in performance, il sermone in evento mediatico, al pari di quanto si osserva nel resto del mondo, e negli Stati Uniti d’America in particolare. Le megachurch urbane di Giacarta, Surabaya o Medan sono oggi centri di culto e di socialità, dotati di infrastrutture tecnologiche e apparati scenici che le configurano come apparati mediatici veri e propri.

Evento Religioso di Lumoindong a Surabaya (metà Settembre 2025)

In tale contesto, la fede non si trasmette più solamente attraverso la parola sacra (come nel calvinismo), ma anche (e soprattutto) attraverso l’emozione, la musica, il marketing e la narrazione personale; i predicatori diventano star carismatiche. Essi si presentano come ‘persone scelte da Dio’ a ragione dio presunte visioni o esperienze paranormali; alcuni di essi affermano di aver sperimentato il paradiso e/o l’inferno, o di aver ricevuto istruzioni personali direttamente da Dio.

Non sorprende, dunque, che questi personaggi si presentino come ponti tra il mondo spirituale e quello mondano, capaci di incarnare il sogno di un cristianesimo moderno, accessibile e positivo; tuttavia, questa crescente visibilità ha conseguenze precise. In un Paese in cui l’Islam sunnita rappresenta non solo la maggioranza religiosa ma anche la matrice identitaria della nazione, ogni parola pubblica sul divino rischia di diventare un gesto politico o di essere percepito come tale.


Gilbert Lumoindong – La Fede tra Provocazione e Media

Attualmente, Gilbert Lumoindong rappresenta uno dei volti più riconoscibili del cristianesimo indonesiano; si tratta di un pastore pentecostale e fondatore della Gereja Bethel Indonesia (GBI) Glow Fellowship Centre, noto per la sua eloquenza, la sua energia contagiosa e un uso strategico dei media digitali. La sua predicazione, diretta e motivazionale, combina Bibbia, psicologia positiva e cultura popolare; il suo linguaggio, accessibile ma tagliente, è apprezzato dai giovani cristiani urbani, che lo considerano una guida spirituale capace di parlare la lingua del presente.

Tale libertà di espressione, tuttavia, ha spesso scatenato polemiche, come nel 2024, in cui venne diffuso un breve video tratto da uno dei suoi sermoni; in questo caso, Lumoindong paragonava la salat e la zakat (rispettivamente la preghiera e l’elemosina obbligatorie per i musulmani) ai concetti cristiani di preghiera volontaria e decima, sottolineando la superiorità della scelta libera rispetto all’obbligo religioso. Le parole, pronunciate con tono ironico, sono state percepite da molti musulmani come derisorie; l’accusa di blasfemia è arrivata con una certa rapidità, accompagnata da proteste sui social e richieste di indagine formale.

Video Completo del Sermone del 2024 al Centro delle Polemiche Nazionali

Il pastore ha cercato di spiegare che il suo discorso era stato decontestualizzato e che non intendeva offendere nessuno, ma la vicenda ha messo in luce la fragilità del pluralismo indonesiano; Lumoindong è divenuto, suo malgrado, un emblema delle tensioni tra libertà religiosa e sensibilità maggioritaria, tra il diritto di predicare e il dovere di non urtare. La sua storia mostra come, in Indonesia, la religione sia ancora un campo attentamente sorvegliato dal potere politico e dall’opinione pubblica, entrambi pronti a intervenire quando il delicato equilibrio interconfessionale rischia di incrinarsi.

In effetti, i media nazionali hanno sottolineato che le accuse di blasfemia avrebbero dovuto essere ignorate dalla polizia, specialmente quando si considera che il diretto interessato si era già scusato pubblicamente. In questo caso, è emerso con chiarezza che

“La sua (codice della blasfemia, ndr) applicazione è ingiusta e funge da strumento di persecuzione per chiunque osi offendere o semplicemente discostarsi dai gusti tradizionali o popolari”, ha affermato Halili (direttore del Sethara Institute, ndr). Tuttavia, ha osservato che il nuovo Codice penale non riconosce più il reato di blasfemia, che tende ad essere poco restrittivo e a soddisfare le preferenze dei fedeli della religione maggioritaria.

Tempo.co, SETARA Institute Minta Polda Metro Jaya Terapkan Restorative Justice atas Laporan Penistaan Agama oleh Gilbert Lumoindong, L’istituto SETARA esorta Polda Metro Jaya a implementare la giustizia riparativa in risposta al rapporto sulla blasfemia di Gilbert Lumoindong, 23 Aprile 2024.

La libertà di espressione, in effetti, viene sistematicamente ristretta quando la cosiddetta ‘armonia religiosa’ viene percepita in pericolo; di fatto, uno dei diritti fondamentali non viene riconosciuto, limitando il pluralismo sancito dalla Costituzione e dalla Pancasila.


Daud Tony – Il Convertito come Simbolo di Frattura

Se Lumoindong rappresenta la modernità cristiana proiettata verso la società dei media, Daud Tony incarna la dimensione esistenziale e drammatica della fede; Tony è un ex musulmano convertito al cristianesimo, diventato un evangelista itinerante e autore di successo. La sua predicazione nasce dall’esperienza personale, e la sua conversione viene presentato come una rinascita, una liberazione da un sistema percepito come costrittivo. I suoi sermoni, dalla forte intensità emotiva, si concentrano sui temi del passaggio dall’oscurità alla luce, dalla legge alla grazia.

Sermone Recente di Daud Tony

Daud Tony afferma spesso di avere un passato nel mondo della magia e dell’occultismo, e di averlo abbandonato per diventare cristiano; sebbene molte persone siano musulmane, in Indonesia non è raro incontrare musulmani che ancora praticano alcuni aspetti delle religioni tradizionali.

Daud Tony non si presenta dunque come un semplice predicatore, ma come una figura liminale, sospesa tra due mondi; la sua conversione lo pone al centro di una tensione profonda tra libertà individuale e identità collettiva. In Indonesia, cambiare religione non è formalmente un reato, ma rimane uno stigma sociale e può avere conseguenze sul matrimonio e sulle finanze. In generale, chi abbandona l’Islam è spesso percepito come traditore, e il suo nuovo credo diventa una provocazione, mentre il percorso inverso viene incoraggiato. Vengono spesso diffusi video che, se provenissero da cristiani, verrebbero trattati come blasfemia; per questa ragione, è agevole dimostrare che la libertà di religione, in Indonesia, coincide con la libertà di convertirsi all’Islam sunnita.


Le Reazioni della Maggioranza Sunnita

Le reazioni della comunità sunnita di fronte a figure come Lumoindong e Daud Tony sono diversificate, e le grandi organizzazioni islamiche come Nahdlatul Ulama (NU) e Muhammadiyah tendono ad assumere posizioni moderate, difendendo il pluralismo religioso come principio dello Stato, ma invitando a evitare ogni forma di provocazione. I loro leader parlano di ‘autocontrollo’ e ‘rispetto reciproco’, sottolineando che la libertà di culto non può tradursi in libertà di offesa. Tuttavia, non mancano frange più radicali, spesso attive sui social media, che interpretano ogni parola ‘non rispettosa’ come attacco all’Islam e invocano l’intervento dello Stato e delle autorità.

Il potere politico, poi si muove con cautela, e, da questo punto di vista, si osserva che l’Indonesia ha ereditato una legislazione sulla blasfemia che, pur essendo formalmente neutrale, viene applicata quasi sempre a tutela della maggioranza musulmana. Di conseguenza, quando un predicatore cristiano viene accusato di offesa all’Islam, le autorità avviano prontamente un’indagine per placare le tensioni sociali, e non tanto per convinzione dottrinale. Si tratta di una strategia di equilibrio, in cui lo Stato si mostra garante della sensibilità islamica, preservando al tempo stesso l’immagine di Paese pluralista.

Non tutti i musulmani, poi, concordano sulle soluzioni da adottare rispetto a condotte che alcuni percepiscono come offensive; spesso questi casi si risolvono con le scuse della persona che avrebbe offeso la sensibilità islamica. Evidentemente, il livello di escalation dipende dal contesto locale, e, ad un approccio maggiormente conservatore corrispondono sanzioni e soluzioni più severe, anche quando la legge non lo richiederebbe.


Religione e Potere – Un Fragile Equilibrio

In Indonesia, religione e potere politico restano indissolubilmente intrecciati, come è già stato discusso a più riprese su questa rivista; l’Islam sunnita costituisce la grammatica morale della nazione, e la sua centralità simbolica condiziona le espressioni della religione nello spazio pubblico. In tale contesto, i casi di Lumoindong e Daud Tony assumono una portata che si estende oltre la sfera teologica, e diventano episodi attraverso cui la società indonesiana misura i limiti della propria tolleranza.

Difendere la sensibilità islamica è per molti musulmani, un atto di patriottismo religioso, ma tale atteggiamento genera un paradosso rispetto all’assetto laico della nazione asiatica; il pluralismo, da principio da tutelare, si trasforma in un terreno di negoziazione permanente, dove le minoranze possono esistere solo se restano invisibili o prudenti. La libertà religiosa diventa condizionata dalla ‘buona condotta’ e dalla capacità di non disturbare l’ordine simbolico della maggioranza, la cosiddetta ‘armonia sociale’.

Nonostante le tensioni, l’Indonesia resta un laboratorio straordinario di convivenza (a volte problematica) tra fedi ed etnie differenti; nelle periferie, nei villaggi e anche nei quartieri popolari di Giacarta, cristiani e musulmani continuano a condividere la vita quotidiana. La coesione sociale si fonda su pratiche di prossimità che spesso superano i conflitti religiosi sottolineati dai media locali e nazionali, tuttavia, la crescente polarizzazione digitale amplifica ogni parola, ogni gesto, ogni sermone, rendendo più vulnerabile il tessuto della convivenza.

Lumoindong e Daud Tony non sono solo figure religiose, ma rappresentano uno specchio della società indonesiana, e riflettono le sue ambizioni di libertà, ma anche le sue paure identitarie; le loro vicende testimoniano un pluralismo vivo ma fragile, continuamente messo alla prova dal bisogno di conciliare il diritto alla fede con il rispetto dell’altro. In un Paese dove la religione è ancora una questione di orgoglio nazionale, probabilmente la vera sfida non è quella di eliminare il conflitto, ma di imparare a viverlo come spazio di dialogo e maturazione collettiva.


Conclusione

Dalle osservazioni precedenti, e in particolare dalle figure carismatiche di Lumoindong e Tony, emerge chiaramente che i cristiani indonesiani non sono totalmente invisibili; al contrario, alcuni di essi hanno milioni di followers. Quello che manca, ovviamente, è la dimensione politica, costantemente richiamata (anche indirettamente) nei sermoni islamici, e generalmente assente da quelli cristiani; i cristiani protestanti (a anche cattolici) evitano accuratamente di parlare di una dimensione politica della fede cristiana. In altre parole, essi evitano lo scontro diretto con la maggioranza sunnita, e si limitano agli aspetti spirituali, come la pazienza, la preghiera, il servizio agli altri.

I cristiani sono coscienti di dover agire in condizione di minoranza, e hanno adottato una strategia per avere successo in questo ambito; non mancano, ovviamente, episodi di tensione involontaria, ma generalmente i cristiani sono considerati parte integrante della nazione. Sono le conversioni al cristianesimo ad essere considerate problematiche, specialmente quando l’ex musulmano/a decide di assumere un profilo pubblico.


Letture Consigliate

  • Hamid, A., Shalih, M. U., & Uyuni, B. (2023). Christianization as a Challenge for Islamic Daʿwah in Indonesia. Millah: Journal of Religious Studies, 22(1), 19–60.
  • Rukiyanto, B. A., Christiani, T. K., & Almirzanah, S. (2024). Religious education to develop respect for plurality in Indonesia. Journal of Beliefs & Values.
  • Saloom, G. (2024). Religious Conversion among Indonesian-Chinese Celebrities. Wawasan: Jurnal Ilmiah Agama dan Sosial Budaya, 8(1), 55–68.

Di Salvatore Puleio

Salvatore Puleio è analista e ricercatore nell'area 'Terrorismo Nazionale e Internazionale' presso il Centro Studi Criminalità e Giustizia ETS di Padova, un think tank italiano dedicato agli studi sulla criminalità, la sicurezza e la ricerca storica. Per la rubrica Mosaico Internazionale, nel Giornale dell’Umbria (giornale regionale online) e Porta Portese (giornale regionale online) ha scritto 'Modernità ed Islam in Indonesia – Un rapporto Conflittuale' e 'Il Salafismo e la ricerca della ‘Purezza’ – Un Separatismo Latente'. Collabora anche con ‘Fatti per la Storia’, una rivista storica informale online; tra le pubblicazioni, 'La sacra Rota Romana, il tribunale più celebre della storia' e 'Bernardo da Chiaravalle: monaco, maestro e costruttore di civiltà'. Nel 2024 ha creato e gestisce la rivista storica informale online, ‘Islam e Dintorni’, dedicata alla storia dell'Islam e ai temi correlati. (i.e. storia dell'Indonesia, terrorismo, ecc.). Nel 2025 ha iniziato a colloborare con la testata online 'Rights Reporter', per la quale scrive articoli e analisi sull'Islam, la shariah e i diritti umani.

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